Sono convinto che molte situazioni che affrontiamo “distrattamente” ogni giorno possono essere lo spunto per aumentare la qualità della nostra vita.
Addirittura, nell’introduzione del libro “Arrichisci te stesso” di Napoleon Hill, si può leggere: “In qualsiasi avversità c’è il seme di un vantaggio equivalente, se non maggiore”. Alla faccia del pessimismo!
Pensiamo alle potenziali capacità intellettive e fisiche di ogni individuo: la voracità di conoscenza di un bambino e la sua abilità di apprendere velocemente cose per lui mai viste, con l’instancabile ritornello: “Perché, perché, perché!?!” Oppure le numerose competizioni sportive in cui da sempre gli individui si sono cimentati, migliorando di generazione in generazione i record.
Incrementare il proprio sapere, affinare le proprie capacità nel lavoro e negli interessi in genere, arricchire e valorizzare la qualità dei rapporti con le altre persone, crea un semplice ed automatico risultato: migliora la qualità della nostra vita e di quella di chi ci sta vicino!
Per raggiungere questo importantissimo risultato ci possono essere diverse strade; tra queste credo che l’osservazione e l’imitazione di modelli che noi riteniamo positivi, possano essere un ottimo aiuto per iniziare o per supportarci nei momenti di difficoltà.
Va da sé che per imitazione non intendo dire copiare pedestremente le azioni, gli atteggiamenti, e la vita dei modelli di riferimento: primo, perché tutto ciò che è buono, non è detto che sia buono per tutti, secondo perché l’alta qualità del risultato sarà direttamente proporzionale al personale impegno che avremo messo per ottenerlo e quindi “scimmiottare” il proprio mito servirebbe a poco.
Ritengo altrettanto utile e soprattutto produttivo analizzare costruttivamente i (nostri ed altrui) comportamenti “negativi”, ovvero quelli che hanno prodotto insuccessi.
A tal proposito qualche giorno fa, ho letto un’interessante approfondimento – di cui riporto sommariamente uno stralcio – di un saggio dal titolo : “Why smart executives fail and what you can learn from their mistakes” – ovvero “Perché manager intelligenti falliscono e come si può imparare dai loro errori” – autore Sydney Finkelstein, docente presso il Dartmouth College.
Nel libro vengono evidenziati sette punti deboli che hanno accomunato i dirigenti di importanti aziende che sono fallite; tra le principali vengono annoverate realtà come Enron, Tyco, WorldCom, Rubbermaid e Schwinn.
Ecco i “sette vizi capitali” analizzati dal Prof. Finkelstein:
1. L’abitudine di considerare la propria società come la migliore in assoluto. E’ un comportamento particolarmente insidioso, poiché impedisce una visione lucida e lungimirante. I manager di successo sono sempre pronti a mettere in discussione il proprio operato, giudicandolo costantemente migliorabile. Uno dei rischi principali nella gestione di un’azienda è quindi quello di restare vittima delle illusioni di onnipotenza.
2. L’identificazione eccessiva con la proprie società, tale da rendere impossibile una distinzione tra gli interessi personali e quelli dell’azienda. Per quanto possa apparire un comportamento vantaggioso e profittevole, in realtà è un’abitudine estremamente nociva per ogni dirigente, in quanto impedisce di focalizzare quali sono i reali obiettivi della società e tutela soltanto le ambizioni individuali.
3. Ritenere di avere tutte le risposte pronte. L’amministratore delegato che prende più decisioni in poco tempo è spesso considerato un manager dalla spiccata personalità. In realtà i dirigenti che elaborano le scelte troppo rapidamente peccano di superficialità e non sono in grado di cogliere le sfumature nei passaggi cruciali. Poiché si sentono troppo sicuri, sono inoltre poco inclini a trarre insegnamento dalle esperienze.
4. Mettere a tacere chi la pensa diversamente. Cercare di modificare i punti di vista differenti dal proprio in modo da ottenere decisioni unanimi, non rappresenta una virtù per un buon amministratore delegato. Il tentativo di annullare le opinioni divergenti priva infatti i manager della possibilità di accedere a un più ampio ventaglio di scelte e quindi di risolvere i problemi con miglior cognizione. Soffocare il dissenso serve soltanto a moltiplicare le difficoltà per l’azienda.
5. Cura maniacale dell’immagine. Uno sforzo ossessivo per risaltare agli occhi del pubblico e per conquistare riconoscimenti mediatici rischia di rendere un manager superficiale e inefficace. Sono numerosi i casi di amministratori che badano soltanto all’apparenza e che trascurano la sostanza. Pensare esclusivamente all’immagine impedisce di curare adeguatamente i dettagli e di ottenere risultati concreti. Esemplare è il caso dei dirigenti che non utilizzano i report finanziari come strumenti di controllo e analisi, ma solo come mero espediente promozionale.
6. Sottovalutare le difficoltà. Accade frequentemente che, una volta abbracciata una strategia, un amministratore delegato fatichi ad abbandonarla. La conseguenza è la mancanza di versatilità e quindi la difficoltà a focalizzare gli ostacoli, sottovalutando i rischi. Molti manager preferiscono non rivedere mai il proprio approccio per paura di mostrarsi deboli. Tuttavia il timore di ammettere un errore o di non essere all’altezza del compito li induce a insistere su decisioni che sin dal principio rivelavano il rischio di un fallimento.
7. Affidarsi ostinatamente a ciò che ha già funzionato in passato. Una volta che un modello si è affermato come vincente, i manager tendono ad adottarlo ripetutamente senza valutare le peculiarità di ogni situazione. Tuttavia il rischio è quello di affidarsi a prodotti (o servizi) che sono diventati obsoleti e che non reggono più la concorrenza sul mercato. L’intelligenza di un dirigente consiste, invece, nel considerare le diverse opzioni che si adattino alle nuove circostanze.
Credo che possa essere stimolante e molto utile rileggersi con calma ogni punto, riflettere se questi comportamenti appartengono anche a noi ed eventualmente valutare l’ipotesi di modificarli per dare maggiore slancio e redditività al nostro lavoro.
Inserisci un tuo COMMENTO, sarà molto interessante per me conoscere la tua opinione o esperienza personale al riguardo, nonché sincero motivo di crescita personale.
Enrico Vigo
13 anni fa
Sono d’accordo con Enrico e con le tesi del Prof. Finkelstein.
Molti dei “sette vizi capitali” come li chiama il professore in realtà si possono ricondurre ad un unico vizio: L’INCOPETENZA.
Più si sale nella scala sociale più si incontra incompetenza.
C’è da chiedersi chi abbia messo i manager nelle loro rispettive posizioni e per quali meriti. Soprattutto nel nostro paese si abusa dell’espressione ‘meritocrazia’ ma questa continua ad essere solo uno slogan nella maggiorparte dei casi.
Cambiando discorso…
Vorrei sapere un’opinione del blog sul concetto di crescita a tutti i costi. In altre parole: siamo tutti convinti che la crescita sia il bene assoluto? Non si dovrebbe ripensare alla società anche in termini di valori, virtù e condivisione? Dobbiamo ancora vivere con oggetti che sono stati programmati per rompersi dopo un certo tempo (obsolescenza programmata)?
Attendo vostri commenti…
13 anni fa
Ciao Fabrizio, le ragioni dell’incompetenza di cui parli sono state ben descritte nel libro “Il Principio di Peter” di cui consiglio la lettura o quantomeno un assaggio tramite il web:
http://it.wikipedia.org/wiki/Laurence_Peter
Relativamente alla tua domanda sulla “crescita a tutti i costi” personalmente sono d’accordo con te, non è nè funzionale nè sostenibile e gli effetti si vedono riflessi nelle tante storture e segnali di cedimento della società e della cultura nella quale viviamo.
Nonostante io lo studi, lo applichi e lo ritenga una materia molto interessante, non sono nemmeno d’accordo con tanta parte del marketing e delle strategie di business che vengono tipicamente utilizzate dalle grandi aziende (l’obsolescenza programmata di cui parli è un buon esempio di questo) in quanto sono tutti meccanismi win-lose e non win-win (ti arricchisci facendo fare agli altri una cosa sbagliata che li impoverisce o gli crea problemi).
Tutto ciò, pur essendo molto interessante e di grande importanza, ci porta però più nel territorio della politica e della sociologia piuttosto che sui piani concreti e pragmatici su cui il blog solitamente si concentra.
Un saluto e continua a seguirci e a scrivere.
Roberto Pesce
13 anni fa
Ottimo spunto di riflessione : ” migliorare la qualità della vita “…..
Credo che il tipo di società in cui viviamo non dia molto attenzione all’individuo e quindi alla qualità della vita , ma tutte le energie sono concentrate sul sistema produttivo , il bene (merce) è diventato il fine e non il mezzo. si è perso di vista la dimensione umana. l’uomo non è più al centro ma anzi è diventato uno strumento . credo che la mercificazione dell’uomo sia la causa dei mali di questa società . Tutto è improntato su come produrre, su come ottimizzare , come se il benessere si valutasse dalle cose che possediamo. le esigenze di un individuo sono molto più articolate . chi occupa posti dirigenziali ha perso il collegamento con chi produce materialmente le cose. e questo scollegamento crea incompetenza. c’è bisogno di accrescere consapevolezza per creare nuovi paradigmi a cui fare riferimento.
Grazie per l’argomento
13 anni fa
Non credo sia solo una questione di incompetenza. Credo piuttosto che quando si è a capo di un’azienda che fattura milioni di dollari si innesca un processo autoalimentante di presunzione, vanità e rigidità mentale che ti fa perdere il contatto con la realtà. La convizione di essere l’artefice di una “grande impresa”, magari nei fatti anche giustificata, può a sua volta generare una seconda convinzione, quella di essere Re Mida. Quando però le cose non vanno come dovrebbero la paura di perdere il prestigio e il denaro guadagnato ha buon gioco sulla propria insicurezza, agisce come la ruggine alla base della banderuola che si orienta solo ai modelli passati perchè sono stati quelli che hanno funzionato. L’umiltà e la voglia di imparare sono l’ olio lubrificante del motore di ogni azienda.
Bravo Enrico!