Seduta in prima fila per buona pace della secchiona che ancora vive in me, ascolto i miei compagni di corso presentarsi. Chi sono, da dove vengo, cosa faccio e perché mi sono iscritto a un vero e proprio “allenamento” di comunicazione creativa.
Siamo in trenta e non potremmo essere più diversi.
Età, esperienze e lavori che fino a pochi anni fa avresti risposto “cioè, cosa fai esattamente?” e ora ti trovi a dire “ah bene, possiamo collaborare!”.
In ogni epoca a fronte di lavori che scompaiono, altri se ne creano.
Qui siamo una minuscola e parziale rappresentanza che non di meno mi scatena una domanda: “Nuove professioni, sinergie e voglia di imparare, è questa l’eredità che ha lasciato la pandemia al mondo del lavoro?”
Sì, e non solo.
La settimana corta o cortissima?
Qualche tempo fa la multinazionale del settore alimentare Mondelez (quella che fa i TUC e gli ORFEO per capirci) ha annunciato al mondo il suo modello di lavoro ibrido che prevede la cosiddetta “settimana corta”.
Ha dato ai propri dipendenti la possibilità di distribuire le ore settimanali di lavoro su 4,5 giorni (così che al venerdì a pranzo inizi il week end) alternando in modo elastico la presenza in ufficio e in smart working.
L’obiettivo è quello di creare per i propri dipendenti un miglior bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata.
Quella vita privata che sembra mancare totalmente al personale sanitario che dopo due anni estenuanti fisicamente e mentalmente ora si sta licenziando in massa aggravando, per chi resta, l’alternanza già precaria di turni e riposi.
Le dimissioni di massa che stanno riguardando il mondo intero e definite Great Resignation stanno producendo un doppio effetto: incoraggiano gli indecisi a scegliere un futuro lavorativo più consono ai propri desideri e pongono interrogativi alle aziende che sono capaci di osservare.
Il capitale umano sta diventando un valore da proteggere per il bene stesso delle organizzazioni.
La ricerca dei talenti personali.
Lo sviluppo del capitale umano come fonte di lunga vita per le aziende, più che come antidoto alla robotizzazione, sposterà in maniera sempre più marcata la ricerca di personale “competente” a quella di “persone con determinate attitudini”.
L’empatia, la resilienza, la capacità di lavorare in squadra, l’entusiasmo, la curiosità, stanno diventando le abilità (skill) più ricercate da chi si occupa di assunzioni.
Attitudini che possono essere innate o che si apprendono facendo esperienza.
- Viaggiare,
- studiare all’estero,
- occuparsi del proprio sviluppo personale,
- pratiche come la scrittura e
- la meditazione,
non sono più considerate solo un hobby.
Determinano ciò che siamo e il valore aggiunto che possiamo portare in azienda.
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Il futuro del lavoro è il lifelong learning.
Il “lifelong learning” (LLL in sigla) è un processo di auto apprendimento che continua durante tutto l’arco della vita. Non parliamo della tradizionale concezione di formazione che dopo gli anni ’90 è andata in declino nelle aziende.
Ciò che caratterizzerà il lavoro del futuro non è più l’acquisizione di conoscenze valide per tutta la vita, come frequentare un determinato corsi di studi o imparare un mestiere da fare per i successivi quarant’anni.
Il futuro è dato da un apprendimento continuo in linea con i mutamenti della società, per ottenere uno sviluppo personale destinato a migliorare la qualità di vita.
Gli stessi temi che sviluppiamo da anni a INTELLIGENZA FINANZIARIA e in cui ora si ritrovano sempre più persone.
Ci aspetta quindi un mondo lavorativo fatto di studio, di relazioni, e di aziende che incentivano l’espressione di talenti tenendo in considerazione i bisogni delle persone.
E più che un’analisi è un gigantesco augurio.
Giorgia Ferrari
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