Vivere nei principi di un’economia circolare a casa propria è possibile non solo in cucina.
Benché l’arte del riciclo e del non spreco di cibo appartenga più ai nostri nonni che alle attuali generazioni, in cucina c’è una maggiore sensibilità, attenzione ed etica.
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È nell’armadio di casa però che potremmo fare davvero la differenza.
Un documentario di qualche anno fa, di cui ho purtroppo perso traccia, mostrava una discarica di dimensioni spropositate in India, dove affluiva una mole ingestibile e quotidiana di abiti: i nostri scarti.
Le donne di quel villaggio invaso dai rifiuti tessili, avevano il compito di lavorare i capi cercando quelli da poter scomporre in tessuti nuovamente utilizzabili.
Alcune di loro si chiedevano con ingenua incredulità se non avessimo acqua per lavarli e quindi utilizzarli più volte.
Un quadro deplorevole dell’impatto delle nostre scelte e un pessimo esempio per i paesi in via di sviluppo.
E quale sviluppo…se questo è il risultato?
L’industria tessile e l’economia circolare.
Le nostre scelte di abbigliamento hanno un impatto decisivo sia quando parliamo di risparmio (abbiamo davvero davvero bisogno di quella maglietta in più?) che di ecosostenibilità.
Scegliere nell’ottica di un’economia circolare significa pensare già al ciclo di vita di un capo: al momento in cui non ci piacerà più, non ci andrà più bene, lo troveremo fuori moda, o si consumerà dopo due lavaggi perché di pessima qualità.
L’industria tessile è la seconda industria più inquinante al mondo dopo quella petrolifera.
A seguire c’è l’incredibile impatto ambientale dato dal consumo di carne di cui abbiamo parlato qui: La carne sintetica o carne del futuro è un investimento?
Per darti una dimensione del problema, la produzione tessile utilizza risorse non rinnovabili per 98 milioni di tonnellate ogni anno e 93 miliardi i metri cubi di acqua.
In pratica per produrre gli abiti acquistati da una famiglia di 4 persone in un anno si consuma l’equivalente di 1000 vasche da bagno!
Le emissioni di CO2 sono di circa un miliardo di tonnellate e 500 mila tonnellate di fibre di plastica vanno nei nostri mari e di conseguenza nel nostro piatto.
Ma qualcosa sta cambiando, sia nella produzione che nel consumo.
Già due anni fa dicevamo che:
L’economia circolare prevede che tutte le attività siano organizzate in modo che i rifiuti di qualcuno diventino risorse per qualcun altro, (leggi anche Economia circolare: ci salverà da noi stessi?)
Alcune aziende di abbigliamento si stavano muovendo per promuovere ritirare i capi usati al proprio interno, riciclarli e risparmiare così sui costi delle materie prime. Quindi in un ottica di minor spesa e maggior guadagno.
Il passaggio ulteriore da fare sarebbe rendere ogni capo totalmente compostabile, cioè realizzato con fibre naturali come il cotone o la lana, eliminando i derivati del petrolio.
Per far sì che un capo possa essere nuovamente filato sarebbe utile progettarlo in origine anche totalmente scomponibile cioè in modo che bottoni cerniere si possano smontare facilmente. Spesso questa operazione è così complessa da trasformare in rifiuto un capo che si potrebbe riutilizzare.
Un altro punto da ripensare è la tintura dei vestiti.
Circa il 20% dei prodotti chimici utilizzati per fissare i colori (bianco compreso perché il cotone non è bianco) finisce nelle reti idriche dei paesi in via di sviluppo.
Se si potessero utilizzare spezie o erbe come si faceva una volta anche a livello industriale e non solo per tingere i vestiti in casa come fa qualche influencer di Instagram, ci consentirebbe una produzione totalmente ecosostenibile.
Probabilmente i capi cambierebbero aspetto ad ogni lavaggio rendendoli sempre unici, ma non è esattamente lo scopo che si prefigge la moda?
Il risparmio si fa nell’armadio.
Sul lato consumi la sensibilità individuale fa la differenza.
La maggior parte dei capi che abbiamo nell’armadio ha un ciclo di vita di tre anni.
Basterebbe prolungare il ciclo di vita di appena nove mesi per ridurre del 20/30% il consumo idrico della produzione globale.
Scegliere quindi capi di fibre naturali e riciclare/riusare (non buttare) quelli che non utilizziamo più sarebbe già un enorme passo avanti.
Comprare o vendere di seconda mano è invece la soluzione più trendy del momento.
Negli ultimi mesi, complice il tempo passato in casa e le ristrettezze generate dal lockdown hanno preso piedi alcune APP di vendita di capi usati.
In Italia quelle più diffuse sono Depop e Vinted.
Depop in particolare è salita agli onori della cronaca per l’acquisizione da parte dell’americano Etsy che punta sui giovani utenti di questa app: pare che il 90 per cento abbia meno di 26 anni!
A dimostrazione ancora una volta che la sensibilità verso il futuro è soprattutto da parte di chi quel futuro vorrebbe viverlo.
Giorgia Ferrari