Obsolescenza programmata: cosa devi sapere per difenderti

Obsolescenza-programmataFloriano è un uomo diversamente giovane che ripara elettrodomestici. Qualche anno fa, dopo l’ennesimo problema alla lavatrice, mi disse: “mi dispiace, stavolta è da cambiare. Se la compra nuova si ricordi che le lavatrici fino a 500 Euro sono destinate a rompersi tra i tre e i cinque anni: appena scade la garanzia. E molte parti non sono riparabili perché fuse nella plastica e quindi inaccessibili. Le lavatrici riparabili costano dai 500 Euro in su.”

Floriano mi spiegò così, dalla prospettiva del cestello, l’obsolescenza programmata.

Qualche anno più tardi, nell’ottobre 2018, lo stesso concetto compare a più riprese nei titoli delle cronache italiane: Apple e Samsung sono state multate dall’antitrust perché alcuni aggiornamenti dei software dei loro smartphone acceleravano l’usura delle batterie.

Scandalo e indignazione.

Si apre un dibattito sul caso che incoraggia un’idea distorta: quella che l’obsolescenza programmata sia una prassi recente e che colpisca solo alcune aziende un po’ furbette.

Purtroppo non è così! La storia ci racconta un film diverso.

Per trovare l’origine di questo malcostume occorre andare molto, molto, moooolto indietro.

Fino agli anni ’20!

Le lavatrici per uso domestico a quell’epoca non c’erano ancora, ma le premesse di quello che sarebbe successo sì.  

Obsolescenza programmata: una storia centenaria

L’obsolescenza programmata è una strategia industriale che limita volontariamente il ciclo di vita di un prodotto a un periodo preciso e, abbastanza breve, in modo che diventi necessario sostituirlo. 

L’obiettivo è quello di alimentare i consumi e sostenere il ritmo di crescita che il sistema economico capitalistico si è imposto come misura del proprio successo. Il concetto ti suona familiare, lo so.

La prima vittima di questa prassi fu forse il primo bene di largo consumo prodotto industrialmente: la lampadina a incandescenza.

Il 23 dicembre 1924 i principali produttori mondiali di lampadine, l’olandese Philips, la tedesca della Osram, la statunitense General Electric, l’ungherese Tungsram e la francese Compagnie di Lampes, si accordarono nel cosiddetto Cartello Phoebus per far sì che le lampadine durassero al massimo 1000 ore, anziché le 2500 ore che lo sviluppo tecnico aveva raggiunto.  

L’accordo durò fino all’inizio della seconda guerra mondiale. 

L’uso di questa strategia industriale era talmente risaputa che nel 1930, nel pieno della grande crisi, Bernard London propose di prevedere per legge l’obsolescenza programmata come misura per contrastare la depressione e incentivare la ripresa economica. 

La proposta fu ignorata fino agli anni ’50 quando il concetto prese altre sembianze.

“Instillare nell’acquirente il desiderio di comprare qualcosa di un po’ più nuovo, un po’ migliore, e un po’ prima di quanto non sia necessario”, era il manifesto esplicito di Brooks Stevens, designer statunitense di grande talento a cui viene attribuita la paternità dell’idea di obsolescenza programmata. Stevens in realtà edulcorava, con l’aiuto della nascente industria pubblicitaria, una prassi dilagante nell’America del dopo guerra.

Emblematica è la storia delle Dupont, ideatrice e produttrice delle prime calze in nylon. La Dupont produceva calze talmente resistenti che dopo lo strepitoso successo ottenuto tra i consumatori dovette impoverire il prodotto per renderlo più “smagliabile” e incrementare così le vendite.

Negli stessi anni in cui la Dupont manipolava il suo prodotto, in Italia Candy e Rex-Zanussi lanciavano le prime lavatrici. A quei tempi erano ancora riparabili visto che la vecchia Europa imparò più tardi, dagli Stati Uniti, come spingere i consumi. 

Obsolescenza programmata: le conseguenze e i rimedi 

Ora, le conseguenze più evidenti di decenni di consumismo spinto sono sotto gli occhi di tutti. Li chiamiamo danni ambientali e rifiuti, ma non sono che il risultato dei nostri comportamenti. 

Da anni stiamo usando l’Africa, in particolare il Ghana, come discarica dei nostri rifiuti elettronici. Un drammatico reportage dell’Internazionale  mostra il tappeto sotto il quale stiamo nascondendo la nostra spazzatura digitale.

Adesso che non sappiamo più dove buttare quello che consumiamo, e che iniziamo a renderci conto delle conseguenze del nostro stile di vita, corriamo ai ripari. 

I casi eclatanti di Apple e Samsung, hanno scatenato dibattiti e proposte di legge, mentre in questi giorni i “grandi” della Terra si riuniscono per parlare di clima, di contromisure, di limiti.

Non si parla più di decrescita, come ha professato provocatoriamente per anni Serge Latouche. Decrescere non piace a nessuno. 

Adesso si parla di sviluppare Economia Circolare di prendere spunto dalla natura che non decresce mai. La natura produce di continuo, ma nel farlo riutilizza i propri scarti come materia prima. Avevamo sotto il naso il miglior esempio possibile ma l’abbiamo ignorato per decenni. Finalmente qualcuno inizia a farne un modello positivo.

Noi, ultimo ma fondamentale anello di questa catena, abbiamo la responsabilità quotidiana di scegliere cosa, come e quanto consumare. Quali aziende premiare e quali “multare”.

Con il diffondersi di una nuova coscienza, vedo aprire sempre più botteghe in cui portare le cose a riparare. Con il tempo, forse, anche le lavatrici sotto i 500 Euro verranno prodotte con criteri diversi, per buona pace di tutti i Floriano che verranno.

Giorgia Ferrari

Sull’argomento Obsolescenza Programmata, ti invito a investire 54 minuti sul documentario realizzato da History Channel: 

 

5 commenti

  1. Andrea G.

    5 anni fa  

    Ciao Gio…articolo molto interessante!
    Ricordo di aver letto anni fa della famosa lampadina dei Pompieri di Livermore che funziona dal 1901 😀 cosa a dir poco impensabile ora che, quando va bene, durano 2 o 3 anni >_>.
    Comunque ora che i riflettori sono tutti puntati sull’ambiente reputerei più saggio tagliare alla radice il “problema” dell’obsolescenza programmata piuttosto che obbligare i genitori dell’asilo a portare bicchieri e bottiglie riutilizzabili…mi sembra un’azione un po’ sterile e reputo che questa povera plastica viene demonizzata in una maniera eccessiva. Non dimentichiamoci che moltissime protesi sono in polietilene per cui viva la plastica MA solo dove serve ovviamente.
    Tornando all’obsolescenza ricordo di un link (forse lo mettesti tu in un articolo) a un sito che vende qualsiasi cosa a un prezzo decisamente sopra la media ma che dovrebbe durare mooolto di più. Lo ripropongo 😉 -> https://buymeonce.com/
    Una buona consapevolezza ambientale a tutti 🙂


    • Giorgia Ferrari

      5 anni fa  

      Ciao Andrea,
      comincio ad essere obsoleta anch’io visto che non ricordo il link di BuyMeOnce, ti ringrazio per averlo riproposto!
      La storia della lampadina della stazione dei pompieri ha sorpreso anche me.
      Pensavo che a quell’epoca non avessero ancora la capacità tecnica per una simile autonomia e non fossero ancora contaminati da logiche industriali e commerciali da anni’80. Invece…
      Sulla plastica concordo con te che il materiale non sia da demonizzare e che tutto rientri nel solito concetto del “dipende dall’uso che se ne fa”. Però preferisco l’enorme attenzione che c’è adesso verso l’ambiente, alla spudorata campagna pro capitalismo e pro plastica che i bambini della mia epoca hanno vissuto. Se ti riguardi i Barbapapà credimi rabbrividisci! Molto meglio andare all’asilo con bottiglie e bicchieri riutilizzabili 😉
      Di recente ho conosciuto una persona che lavora nella Commissione Europea e che coordina progetti e leggi per lo sviluppo sostenibile. Al di là di tutto quello che c’è ancora da fare e delle direttive comunitarie che recepiremo nei prossimi anni, mi diceva che l’Italia è per una volta tra i paesi più virtuosi per la produzione energetica da fonti alternative, ma manca di un progetto di lungo termine per lo smaltimento dei rifiuti e le politiche ambientali.
      Magari insegnando buoni comportamenti ai bambini fin dall’asilo a tendere non ci sarà bisogno di norme perché l’educazione prevarrà.
      Io, nel frattempo, temo sarò da smaltire nell’umido 🙂

      Un abbraccio,
      Gio


  2. Andrea G.

    5 anni fa  

    Sì è vero, siamo abbastanza avanti anche se nell’eolico pecchiamo parecchio. E sì, confermo che la lungimiranza per lo smaltimento dei vari elementi per la produzione di energia sostenibile non ce l’abbiamo per niente. La strada è ancora lunga e ora che si troveranno le soluzioni per tutto farò anche io parte dell’umido 😀
    Ci sarebbe un altro punto da prendere in considerazione però! Bisogna necessariamente prendere coscienza della sostenibilità ambientale dei singoli materiali perché un materiale come il polistirene estruso prodotto a Bergamo non ha necessariamente un impatto ambientale maggiore rispetto a un pannello di sughero (molto più eco) prodotto in cina poiché il trasporto inciderebbe in una maniera non indifferente.
    Fortunatamente i Barbapapà sono un po’ old school per me e non li ho mai visti 😀 … rimango volentieri ignorante 😀

    Un abbraccio!


  3. Eugenio

    5 anni fa  

    Concordo con voi che la plastica non va demonizzata. C’è un bel video dello youtuber e monologhista Roberto Mercatini (link https://youtu.be/4d719W7S4LI) dove spiega che la plastica ha la caratteristica di durare tantissimo e quindi impiegarla per produrre oggetti usa (poco) e getta è un controsenso. Confido nel progresso e nella sensibilizzazione della popolazione mondiale. Sulla politica sono particolarmente sfiduciato, ma sarei contento di ricredermi. I Barbapapà li guardavo da piccolo, ma ricordo ben poco circa i contenuti. Ciao


    • Giorgia Ferrari

      5 anni fa  

      Grazie Eugenio per il video che hai linkato!

      Gio


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