Era la Vigilia di Natale del 2017 quando per la prima volta abbiamo parlato di criptovalute.
Erano la novità dell’anno, la speculazione del momento, una bolla; difficili da comprendere figuriamoci da comprare.
Un antipasto di futuro.
E ora? A soli tre anni di distanza cosa sono diventate le criptovalute?
Dal picco del dicembre 2017, quando i Bitcoin sfiorarono i 20 mila dollari per unità per poi calare a meno di 3 mila un anno dopo, ora la loro corsa è incontenibile: hanno toccato i 58 mila dollari.
Da cosa è data questa spinta?
Secondo la maggior parte degli analisti è cambiato il modo in cui sono considerati i Bitcoin da parte degli investitori tradizionali: fondi di investimento, grandi investitori.
È cambiata la reputazione.
Il Bitcoin non è più considerato solo lo strumento speculativo, ma viene paragonato a una commodity, un bene rifugio come l’oro, un asset da conservare nella speranza che mantenga valore nel futuro.
Come mai questo cambiamento?
Rinfreschiamoci la memoria: cosa sono i Bitcoin?
Prima di capire cosa ci ha portato fin qui è bene partire dalle basi e rinfrescarci la memoria.
I Bitcoin sono stati ideati nel 2008 da Satoshi Nakamoto (un nome di fantasia, nessuno ha mai scoperto con certezza chi fosse) con l’obiettivo di creare un sistema di valuta elettronico libero da qualsiasi autorità centrale.
Sono un “oggetto” digitale, che può essere inviato in modo elettronico in qualunque parte del mondo, in tempi rapidissimi, passando da una persona all’altra senza che ci sia bisogno di una banca o di altri intermediari per validare la transazione.
È identificato da una chiave privata, ovvero una sequenza di numeri e cifre certa e non replicabile. Possedere quella chiave, significa possedere Bitcoin.
Se la perdi è un po’ come perdere il portafoglio. Non è possibile richiedere un nuovo codice o chiamare un servizio clienti per il recupero: hai perso in modo irreversibile i tuoi soldi.
La validazione dei Bitcoin avviene tramite la blockchain: un sistema di controllo mantenuto da migliaia di terminali informatici tramite una rete diffusa di nodi.
La tecnologia è stata concepita per certificare con chiavi univoche qualunque transazione grazie a calcoli estremamente complicati, che rendono quasi impossibile falsificare un Bitcoin o validare transazioni truffaldine. Il tutto garantendo sicurezza e anonimato.
Cosa significa minare Bitcoin?
I Bitcoin sono generati tramite un sistema chiamato mining dal verbo inglese to mine: estrarre.
Minare Bitcoin significa semplificando: installare su computer potentissimi, (con un altissimo dispendio energetico) il software in grado di calcolare i dati delle transazioni.
L’uso di computer molto potenti, comporta due ordini di problemi a chi fa bitcoin mining:
- Il costo energentico;
- Il surriscaldamento degli impianti.
Per questo l’estrazione di criptovalute avviene in zone del mondo in cui il clima è molto freddo e l’energia elettrica a buon prezzo sia per far funzionare i computer che per tenerli a temperatura controllata.
Al termine di questo processo altamente complesso, e in proporzione allo sforzo compiuto, i minatori ricevono un premio in Bitcoin o nella cripto che creano.
Minare criptovalute è diventata un’attività imprenditoriale.
Perché “crearle” costa meno che comprarle.
Ad esempio: comprare 1 Ether oggi costa circa 1200 Euro, ma crearne uno tramite il mining ne costa circa 100.
Cosa è cambiato dal 2017 a oggi.
Cosa è successo dal 2017 a oggi per far pensare ai Bitcoin come al nuovo oro?
A spiegarlo magistralmente è Massimiliano Trazzi in uno dei suoi post nella Community di EDUCAZIONE FINANZIARIA EFFICACE.
Questi i punti principali:
- Diversamente dal 2017, i corsi non sono spinti da tanti piccoli avidi smanettoni, ma da grossi fondi, istituzionali che hanno visto in Bitcoin una seria opportunità di investimento. Stiamo parlando di nomi come JP Morgan, Goldman Sachs, Grayscale, MicroStrategy…
- Gli istituzionali, di norma, conferiscono stabilità e maturità a un settore. A tendere ne smorzeranno anche la volatilità.
- Il principale elemento di forza, oggi, del Bitcoin, sta nel suo numero finito. Alla fine della creazione, potranno esistere solo 21 milioni di Bitcoin. Non uno di più. Questo fa dei Bitcoin un bene raro.
- I fondi stanno cercando alternative. Le stanno trovando nelle principali crypto. Azioni care, obbligazioni ormai fuori mercato come il cavallo e il calesse, complice una politica monetaria ultra espansiva. Non resta molto.
- Le banche centrali mondiali stanno continuando a creare moneta dal nulla. Quando tanto nuovo denaro viene creato, quello che c’è vale meno. È inevitabile che il Dollaro, ma anche l’Euro, perdano valore. Stanno inflazionando le valute tradizionali.
- Il sistema che regge le monete tradizionali è centralizzato, mentre le crypto sono create dalla rete in maniera decentrata. Anche per questo, però, sono praticamente impossibili da bandire e da mettere fuori gioco. Gli Stati potranno impedire alle persone di pagare le sigarette in Bitcoin, ma non potranno mai impedire alle persone di scambiarsene tra loro.
Per tutti questi motivi tra gli operatori e gli economisti, gli scettici vanno via via diminuendo. Alcuni hanno proprio ritrattato la loro posizione. Anche Ray Dalio da detrattore è divenuto cauto accumulatore.
La volatilità dello strumento rimane notevole e picchiate al ribasso sono sempre dietro l’angolo. Tuttavia la forza propulsiva rimane molto forte e le mani forti ancora agli inizi dell’accumulazione sono tante.
Quel che è certo è che il mondo sempre più digitale, l’economia reale in crisi e le banche centrali che stampano come se non ci fosse un domani, non possono che favorire una ulteriore crescita della richiesta di Bitcoin ma, ancora una volta: analisi della situazione non significa “consigli per gli acquisti”.
Giorgia Ferrari